La polizia può costringere a sbloccare un iPhone?

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Secondo una sentenza di un giudice statunitense, la polizia non può costringere una persona sbloccare il proprio iPhone per ragioni legate alla tutela della privacy.

Gli smartphone contengono numerose informazioni personali che riguardano l’esistenza di ognuno di noi, sotto ogni punto di vista. Dai dati di accesso alle App (es. home banking), messaggi, chat, cronologia dei siti visitati, mappatura degli spostamenti (se il GPS è attivo), foto personali e molto altro ancora.

Questi supporti e utility sono veri e propri scrigni che contengono gran parte della nostra privacy. Per tale scopo è nata l’esigenza di disciplinare l’accesso da parte delle forze dell’ordine a tali dispositivi. Sebbene in un primo momento i giudici statunitensi si fossero espressi solo in merito all’accesso ottenuto obbligando un soggetto arrestato dalla polizia a fornirgli il passcode, successivamente e grazie ad una sentenza scoperta da Forbes questo divieto è stato esteso a tutti di tipi di accesso, anche quelli ottenuti con i dati biometrici (riconoscimento facciale o impronta digitale).

Polizia USA e obbligo di sbloccare un iPhone: l’origine della sentenza

La necessità di disciplinare questa procedura, ovvero la forzatura ad opera della polizia dello sblocco di un iPhone, nasce da un’indagine condotta su un crimine di estorsione di Facebook.

In sostanza, i federali, dopo aver ricevuto una denuncia da parte di un soggetto a cui era stato chiesto di pagare per evitare la pubblicazione di un suo video compromettente sul web, avevano individuato alcuni soggetti come presunti colpevoli, ma per poter verificare ciò occorreva entrare nelle loro proprietà (muniti di mandato) e cercare delle prove nei loro iPhone. Per fare ciò, gli uomini delle forze dell’ordine dovevano costringere tutti i soggetti sospettati a sbloccare, con i dati biometrici, i loro smartphone-.

Nonostante il giudice autorizzasse ad entrare nelle proprietà dei soggetti individuati come possibili responsabili del reato di estorsione, lo stesso non autorizzava i federali di chiedere lo sblocco forzato degli smartphone mediante l’utilizzo delle loro caratteristiche biologiche.

“Se una persona non può essere costretta a fornire un passcode perché è una comunicazione di testimonianza, una persona non può essere obbligata a fornire il dito, il pollice, l’iride, il viso o altre caratteristiche biometriche per sbloccare lo stesso dispositivo”, ha scritto il giudice nella sentenza.

Stessa storia, altra sentenza (in Olanda)

Ma per la serie “Paese che vai, usanze che trovi”, la medesima situazione è stata valutata diversamente in Olanda, dove un giudice ha stabilito che non si può obbligare un soggetto a fornire il proprio passcode. Questo rappresenterebbe una forzatura a dichiararsi colpevole. Tuttavia, è possibile utilizzare i dati biometrici (impronte, riconoscimento facciale o della retina) per sbloccare uno smartphone. Questo si tratterebbe di una “violazione limitata” dell’integrità fisica.

Ed è così che due poliziotti olandesi hanno ammanettato tre uomini sospettati di phishing (truffa informatica). Successivamente, hanno sbloccato uno dei tre smartphone con l’impronta digitale. In questo modo, sono state raccolte le prove necessarie a condannare i tre uomini. Gli stessi, tra il 2015 e il 2016 erano riusciti a raggirare decine di malcapitati, inviando mail che sembravano provenire dalle loro banche. Con questa tecnica, i tre criminali erano riusciti ad ottenere codici PIN e carte di debito prelevando migliaia di euro dai conti delle vittime.

In Italia ancora non è stata registrata alcuna sentenza che tratta questo argomento. Nell’ultimo periodo, alcune vicende di cronaca hanno portato ad una maggiore attenzione mediatica su aspetti di questo tipo legati a privacy e dati biometrici. Ecco perché siti specializzati come lalegge.net hanno seguito la vicenda, dedicando approfondimenti per i consumatori italiani.

Per il momento, quello di sbloccare forzatamente un iPhone o uno smartphone da parte delle forze dell’ordine è un argomento che divide l’opinione pubblica. Infatti, esiste chi difende a spada tratta la propria privacy e chi preferisce che la legalità faccia il suo corso anche con delle piccole violazioni. D’altronde chi non ha nulla da temere non si preoccupa affatto.

Redazione

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